Tra le campagne elettorali più discusse del momento, quella dell’UDC è tra le più apprezzate. Comunicazione visiva e testuale si fondono in un messaggio semplice e immediato. La “bandiera ricucita” resta impressa nella mente degli elettori e conquista anche gli sguardi dei critici.
A raccontarci la creazione e le peculiarità di questa campagna è l’Agenzia di comunicazione TOM di Bari. Si tratta di un case history davvero interessante, in quanto è raro che una piccola agenzia del Mezzogiorno riesca ad affacciarsi al livello nazionale di un partito politico senza partire da contatti e/o relazioni preesistenti.
Come siete stati scelti per ideare la campagna di comunicazione per l’Unione di Centro?
“La nostra è stata una sfida – racconta Serena Fortunato, project manager della campagna – Non abbiamo partecipato ad una gara ma ci siamo candidati per presentare la nostra idea, quella che abbiamo ritenuto vincente. E così siamo arrivati a Montecitorio da outsiders. Abbiamo seguito un iter talmente regolare da risultare atipico. La verità è che ha vinto una buona idea, nata, peraltro, senza un brief dettagliato e attuale anche dopo 4 mesi dalla presentazione.
È stata una presentazione suggestiva la nostra: prima di illustrare la campagna abbiamo mostrato senza commenti una bandiera italiana strappata e materialmente ricucita. Credo che in quel caso l’immagine abbia detto più di molte parole e son convinta che abbia subito fatto presa sullo staff UDC. Dobbiamo dare atto al settore Comunicazione dell’UDC di aver accolto la nostra sfida con fiducia, coraggio e senza pregiudizi”.
Come è nata l’idea della campagna?
“Il nostro brainstorming – spiegano l’art director e il copy writer, Claudio Mineccia ed Enrico Olivieri – è partito dalla consapevolezza che si dovesse riposizionare il marchio UDC in uno scenario differente ed eterogeneo. Da ago della bilancia della politica italiana ad ago per ricucire il Paese. Un nuovo ruolo non più statico, ma dinamico e proattivo. In un momento in cui il made in Italy ha perso un posto rilevante nella piramide dei valori dei cittadini, abbiamo cercato di recuperare questo senso di italianità perduta attraverso un key visual in cui tutti potevano riconoscersi, il tricolore. Ma i veri protagonisti del processo di ricucitura del Paese sono gli italiani, in particolare la famiglia, quella con la quale l’UDC deve realizzare questo processo. Per questo il secondo soggetto della campagna ha visto l’evoluzione della bandiera in mani operose attrici di questa azione di nuova unità nazionale.
Oltre ai manifesti quali sono le strategie della campagna?
“La campagna si basa sulla strategia della coerenza – spiega Serena Fortunato – nella quale noi crediamo moltissimo. Il nostro progetto nasce da un’intuizione, quella del tricolore da ricucire, di un’Italia smembrata da rimettere insieme con l’ago e filo degli italiani. Questa idea è stata declinata nei due visual del primo flight. Nel secondo, invece, al tricolore sono subentrati i 6 candidati presidenti UDC e il Presidente a sostegno delle coalizioni nelle altre 7 regioni. In tutti i casi, sebbene il coordinamento fosse articolato, abbiamo fornito tutti gli strumenti perché la campagna fosse coerente, riconoscibile e dunque memorabile. Abbiamo lavorato per questo, fino alla produzione di un format – senza immagine ed headline – per ciascuno dei candidati di lista di tutte le regioni d’Italia. Abbiamo provato ad evitare sbavature e schegge impazzite dal punto di vista della comunicazione. In più occasioni abbiamo anche suggerito che questo concetto di ago&filo diventasse il leitmotiv di tutta la comunicazione UDC dei prossimi mesi. Intanto a partire dal 1° marzo saranno on air spot radio e video nati dallo stesso concept ma con un’ulteriore ed interessante esplosione”.
Cosa significa per un’agenzia del Mezzogiorno raggiungere un “cliente” così importante in questo particolare momento?
Per le modalità con cui è avvenuto il contatto – sostiene Franco Liuzzi – direi che è un segnale positivo. Noi usciamo da questa esperienza molto più forti di prima e decisamente più consapevoli delle nostre capacità. Ma soprattutto abbiamo imparato che occorre avere fiducia nei propri mezzi, nelle proprie idee e giungere a sfidare il mercato fino a presentarsi dall’interlocutore per giocarsi una partita. Ammetto che nel Mezzogiorno questo non è semplice. Ma chi sa e vuole fare questo mestiere deve essere pronto a cimentarsi con organizzazioni complesse. La Tom è giunta all’UDC dopo aver studiato la sua comunicazione, dopo aver cercato di interpretare l’orientamento del partito, dopo aver compreso il suo posizionamento, dopo aver letto documenti e dossier. La nostra candidatura insomma è stata un progetto completo su cui abbiamo investito tempo e risorse. Ed i risultati ci hanno dato ragione”.
Vi siete già occupati di comunicazione politica in passato? Pensate di continuare ad occuparvene in futuro?
“Non siamo esordienti in questa area ma certo mai avevamo operato per un partito italiano, per un territorio così vasto. Sulla comunicazione politica – prosegue Liuzzi – in verità abbiamo costruito un “approccio” integrato dalle competenze di altri colleghi (sondaggi e web tv). Perché pensiamo che oggi vi sia una nuova consapevolezza dell’opportunità che può offrire una buona campagna di comunicazione ad un candidato (e soprattutto ad un neocandidato). Ed anche ad un partito. Perché la generazione di un format unico può evitare dispersioni e facilitare l’affermazione di un brand. Quindi continueremo a farlo sicuramente, sperando di poter essere utili soprattutto suggerendo di ricorrere a media diversi dall’advertising”.
Qual è il vostro giudizio sulla comunicazione politica in Italia?
“Francamente mi è parsa una campagna un po’ fiacca. Credo che spesso abbia prevalso il diktat del partito e che i nostri colleghi abbiano dovuto limitare il loro apporto. In generale mi pare di intuire che sia stato difficile prescindere dalla “faccia”. Mi chiedo però se un volto ed uno slogan siano l’unica risposta possibile all’impegno di proporre un progetto di governo del Paese. Quando poi prevale l’estro del candidato, allora è veramente difficile tenere la barra della comunicazione. E poi, comunque sopravvive una tendenza a privilegiare i media classici. Gli investimenti sono tutti ancora sbilanciati sull’advertising e ci si rivolge alla comunicazione ancora fuori tempo massimo. In questo modo credo che si perda l’opportunità di accreditare un progetto, una lista o un candidato”.
Ritenete che nei prossimi anni sarà un’opportunità di business per i professionisti della comunicazione e del marketing?
“La nostra valutazione è positiva. Non si tratta certo di specializzarsi ma di maturare una scelta di management che punti a prestare la giusta attenzione ad un ambito che riteniamo sia in evoluzione. Ovviamente, dopo aver maturato una scelta consapevole, occorre prepararsi, studiare, testare applicazioni, analizzare e costruire un piano di interventi-base da poter modellare in funzione delle esigenze. L’opportunità esiste. E va colta”.