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Ti lascio, poi ti prendo, poi ti lascio…

Chi ieri (28 luglio 2010) si aspettava la fine ufficiale dell’“amore” tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini sarà rimasto sicuramente deluso. In serata infatti Fini ha dichiarato di non avere nessuna intenzione di lasciare quel partito che ha contribuito a fondare.
Ovviamente tutti si sono scatenati a cercare di capire le motivazioni di questo dietrofront e il perché più verosimile sembra quello che Fini abbia davvero capito che i numeri non ci sono.
Detto questo, però, sicuramente la situazione all’interno del Pdl è ancora molto confusionaria ed è difficile infatti pensare che i “finiani” rimangano ancora nel Popolo della Libertà. E allora che succederà? Il premier sembra davvero intenzionato a “cacciare” dal partito i “finiani”. A questo punto questi ultimi potrebbero costituire un loro gruppo sia alla Camera sia al Senato, ma con pochissime probabilità che possa davvero contare a livello numerico, perché in politica si sa contano solo i numeri!
Ma allora è davvero convenuto a Fini tirare così tanto la corda? Davvero il Presidente della Camera pensava di prendere il posto di Berlusconi, così da guidare il centro-destra alle prossime elezioni?
Quello che ormai sembra sicuro è che il Pdl sia molto compatto a favore di Berlusconi e quindi deciso più che mai a “far fuori” Gianfranco Fini.
A questo punto, ciò che sarà interessante è capire se l’ex leader di An riuscirà a far meglio di Follini, Casini, quelli cioè che già in passato si sono opposti a Berlusconi con risultati, però, oggettivamente scarsi.

                                                           

Ma in tutto questo, il Paese ci guadagnerà qualcosa? Sul futuro non si sa, ma per ora purtroppo i problemi che già erano presenti (disoccupazione e crisi economica su tutto) si sono solo aggravati; e, cosa ancora più preoccupante, è che non si vedono grandi soluzioni all’orizzonte!

In definitiva, quindi, nulla di nuovo:

  • Silvio Berlusconi si conferma leader del centro-destra;
  • il centro-sinistra continua a tormentarsi con la sua confusione interna;
  • e… il Paese è fermo da circa sedici anni!!

Non concordo con chi generalizzando chiama “casta” la politica… ma nemmeno con chi fa poco per farsi apprezzare!

Luca Checola

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Tutti gli uomini del Presidente

Quale effetto avrà sul Governo la crisi giudiziaria che si sta abbattendo sull’entourage berlusconiano? In che termini può danneggiare il consenso del premier la crisi politica che sta minando il partito pidiellino?

Qualsiasi saranno le ricadute, è bene descrivere lo scenario che circonda il Premier. Noi lo facciamo proponendovi un panorama di alcuni degli uomini che lo circondano, figure determinanti per il futuro del suo Governo. 

Sono tante, infatti, le personalità i cui nomi sono legati alla figura di Berlusconi e con le quali quest’ultimo è in relazione per  rapporti politici, personali, per amicizia, inimicizia.

Ecco la mappa degli gli “uomini del Presidente”.

Marcello Dell’Utri. Il super indagato e condannato a 7 anni per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. É uomo di Berlusconi dagli anni Settanta, suo stretto collaboratore in Publitalia, Fininvest/Mediaset e cofondatore di Forza Italia. È senatore per il PDL e oggi è iscritto nel registro degli indagati per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi sulle società segrete. “L’Amico degli amici” come lo apostrofa Marco Travaglio.

Nicola Cosentino. Neo dimissionario Sottosegretario di Stato all’Economia e coordinatore regionale de Il Popolo della Libertà in Campania. Accusato di Concorso esterno in associazione cammoristica e coinvolto nell’inchiesta sul tentativo di screditare, attraverso falsi dossier, la figura di Stefano Caldoro, attuale Governatore della Regione. Cosentino è indagato, insieme a Marcello Dell’Utri per associazione a delinquere e violazione della legge Anselmi che vieta la costituzione di società segrete.

Guido Bertolaso. L’uomo strategico della Protezione civile, l’uomo delle Emergenze e dei Grandi Eventi. Sempre fortemente voluto da Berlusconi, anche dopo lo scandalo del G8 che lo ha visto coinvolto tra scambi di favori, appalti e massaggi.

Claudio Scajola. L’inconsapevole ex Ministro dello Sviluppo Economico, ex democristiano e probabilmente futuro ex proprietario di un bellissimo appartamento che affaccia sul Colosseo, se sarà accertato che le fatture da decine di migliaia di euro per la ristrutturazione dell’appartamento furono emesse a carico del Sisde e pagate con i soldi destinati al rifacimento della nuova sede degli 007 in piazza Zama, a Roma.

Denis Verdini. Il super coordinatore del PDL, ha guidato la fusione con AN ed è stato un forzista della prima ora. Invischiato in numerosissime inchieste: dagli appalti per il G8 ai condizionamenti esercitati sui giudici della Consulta per la questione del lodo Alfano, dalla vicenda dei falsi dossier da utilizzare nelle lotte di potere interne al Popolo delle Libertà all’inchiesta sull’eolico.

Gianni Letta. L’eminenza grigia. L’unico uomo in politica che riesce a guidare e consigliare Berlusconi già dai tempi di Forza Italia. È Sottosegretario al Consiglio dei Ministri e come lui stesso ama precisare non si considera un uomo politico.

Angelino Alfano. È il Ministro della Giustizia che ha dato il nome al famoso “Lodo”, poi dichiarato incostituzionale. Ad oggi è alle prese con il complesso DDL Intercettazioni, tanto agognato da Berlusconi, ma combattuto da Fini nelle impostazioni e nella struttura.

Gianfranco Fini. Il nemico numero uno. L’opposizione “fatta in casa”. Presidente della Camera e cofondatore del PDL, è una delle cause principali dei problemi del Premier. Colui che ha intaccato l’aurea di assolutismo che caratterizza il potere di Berlusconi, colui che corrode dall’interno il partito di maggioranza manifestando dissenso e disappunto per le azioni del Presidente del Consiglio.

Aldo Brancher. L’uomo che ha sempre intrattenuto i rapporti con la Lega. Accusato per la vicenda Antonveneta-BNL, si dimette da Ministro senza portafoglio per la Sussidiarietà e il Decentramento, dopo aver cercato di approfittare della sua carica per sfuggire al processo.

Giulio Tremonti. Il Ministro dell’Economia dalla ‘R’ moscia. Autore dell’aspra manovra economica, è l’uomo tanto caro alla Lega e in particolare al Senatùr, che ben lo vedrebbe a capo di un governo tecnico. 

Umberto Bossi. L’uomo del Federalismo,  il fondatore della Lega, il grande alleato di Berlusconi ma anche colui che lo tiene in “ostaggio”. Sopravvissuto a un ictus… Lui “ce l’ha duro”! Tesse le fila di una ragnatela verde che si estende nei territori e nelle istituzioni; spopola in Padania e con le elezioni Regionali tenta di invadere anche le regioni centrali.

Bruno Vespa. L’uomo di Porta a Porta. Il giornalista. Lo scrittore. E da un po’ anche l’organizzatore di cene riconciliatrici. Sulla sua terrazza in Trinità dei Monti dà vita a un bel salotto dove Berlusconi incontra la sua “vecchia fiamma”…Pier Ferdinando Casini.

Pier Ferdinando Casini. Il Delfino. L’uomo del Centro, della politica dei due forni e della bandiera ricucita delle ultime elezioni regionali. Colui che si fregia ancora dello scudo crociato, ne fa una missione e punta al Terzo Polo. È stato infatti alleato di Berlusconi per anni, ma non ha aderito al progetto del PDL e ora pensa all’alternativa… sempre che Silvio non lo alletti con le sue proposte!

Marina Ripoli

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Strategia “Ghe pensi mi”

Quanti grattacapi per il premier: Brancher, la manovra economica, la protesta delle Regioni, il nodo delle intercettazioni, i rapporti istituzionali con il Quirinale, i rapporti con Fini, con la Lega, la gestione del PDL, l’avanzata di un fantomatico Terzo Polo. Beh… “Meno male che Silvio c’è!”.

Ed infatti, prima che tutto potesse sfuggirgli di mano, il Presidente del Consiglio decide di intervenire!

Niente di nuovo sotto il sole, insomma… L’impeto di superomismo del Cavaliere è in linea con la sua immagine e con le sue strategie elettorali. Berlusconi, d’altronde, non è mai stato un esempio di leadership partecipativa[1], non ama delegare… Lui fa tutto da solo e il “Ghe pensi mi” del premier, come la campagna acquisti presso la squadra dei finiani[2], ne sono solo una dimostrazione. 

Questo suo intervento così imponente, in moltissimi ambiti della politica di Governo e della politica interna al PDL, implica però un indebolimento della credibilità della sua squadra.

Quando infatti un leader scende in campo in prima persona, invadendo ogni ambito… Viene intaccata la credibilità dei suoi collaboratori. Ciò, probabilmente, passa in secondo piano, rispetto agli interessi in campo e all’emergenza dei problemi da risolvere. Tra questi ultimi, il più grave è il continuo conflitto interno al partito del Popolo della Libertà. I rapporti con Fini, oramai, sono alle strette. Anche Letta non è riuscito a ricucire. Lo scenario che si profila è sempre più teso e difficile. Nel frattempo Berlusconi si appresta ad azzerare ogni tipo di corrente e fondazione all’interno della formazione politica. Ne concede la sopravvivenza solo per lo svolgimento di iniziative culturali. Di personalismi, in pratica, non ne vuol sentir neanche lontanamente parlare… basta il suo! 

Ora come ora, visto lo scollamento interno, il premier dovrebbe perciò concentrarsi sul rafforzamento dell’alleanza con la Lega, che però potrebbe iniziare a traballare, se il tanto agognato federalismo non verrà attuato. Della situazione approfittano i partiti di centro che fanno circolare l’idea di un Terzo Polo che sconvolga gli equilibri attuali del sistema partitico italiano.

La strategia del “Ghe pensi mi” dovrebbe preoccuparsi anche di questo.

 

Marina Ripoli

 


[1] K. Lewin e R. Likert.

[2] Dei tentativi di Berlusconi di fare campagna acquisti presso la corrente finiana avrebbe parlato lo stesso presidente della camera, raccontando che il premier “li chiama uno ad uno, persino quelli che l’hanno visto solo in fotografia, e gli dice: io e te dobbiamo parlare, vienimi a trovare”.

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Come nasce il simbolo del PD

Il nome del Partito Democratico nasce il 14 ottobre 2007. In origine doveva chiamarsi “Partito Riformista”, ma fu Francesco Rutelli ad opporsi a tale scelta, imponendo il nome di Partito Democratico, in quanto più rispettoso delle singole anime che costituiscono il nuovo soggetto politico. Il nome si ispira chiaramente anche alla tradizione democratica americana.

Il logo del PD, invece, appare con ritardo rispetto alla costituzione del partito, esattamente il 21 novembre 2007 a seguito di un concorso voluto da Walter Veltroni e vinto dal giovane sconosciuto molisano Nicola Storto. Preceduto da una lunga riflessione sulla sua realizzazione, l’incipit del manifesto redatto dai dodici saggi, “Noi democratici amiamo l’Italia”, forse lasciava già prevedere che nel simbolo ci sarebbe stato un richiamo alla bandiera nazionale. Esso, infatti, è costituito da una grande ‘P’ verde, una ‘D’ bianca che si staglia su di uno sfondo rosso; sotto, perfettamente allineata alla parte superiore, la scritta Partito Democratico, di colore nero, impreziosita da un piccolo ramoscello di ulivo. Questa la descrizione del logo che rappresenta il Partito Democratico.

Squadrato[1], compatto, senza fronzoli, la sequenza cromatica verde bianco e rosso riporta all’identità nazionale che il partito vuole assumere. Inoltre, i tre colori utilizzati richiamano anche le tre culture presenti nel PD: il verde della cultura ambientalista e laica, il bianco del solidarismo dei cattolici moderati e il rosso della tradizione socialista e del mondo del lavoro. Lo stesso discorso vale per il ramoscello di ulivo inserito al centro del lettering, l’Ulivo rappresenta la storia del PD, la sua radice. È l’unico simbolo di continuità. La grafica è la stessa utilizzata nel simbolo del raggruppamento che ha rappresentato per oltre dieci anni le forze riformiste del centro sinistra, ma è fortemente ridimensionato posizionato appena al di sotto del logo.

Manca, quindi, il colore arancione. Il colore che aveva accompagnato la campagna elettorale di quasi tutti i candidati alla carica di segretario ad ottobre 2007. Difatti, fatta eccezione per Veltroni e Adinolfi, tutti gli altri candidati in corsa per la leadership avevano fortemente utilizzato il colore che pure era massicciamente presente nella grafica del sito ufficiale del Partito Democratico e in tutte le altre produzioni grafiche di DS e Margherita nella fase post-congressuale. Basterebbe ricordare i manifesti creati per la festa de l’Unità romana o i singolari inviti targati “Casa dei Democratici”. L’arancione era visto, infatti, come il colore del riformismo. Una scelta cromatica che sembra scaturire da una precisa evoluzione storica: il “rosso rivoluzionario” del comunismo si incontra con il “bianco moderato” dei popolari. Dunque, una fusione che cominciava già dalla cromia.

Se l’arancione scompare, anche il verde non sembra prevalere. Nonostante la scenografia dell’assemblea costituente di Milano avesse lasciato pensare diversamente, il verde de “La Nuova Stagione” di Veltroni si ridimensiona e si limita a completare la composizione iconografica del più classico tricolore italiano, anche se quest’ultimo non è mai stato il codice di riferimento del centro sinistra.

Ora sembra che questo logo abbia le ore contate. Non piace al segretario Pier Luigi Bersani…e nemmeno alla Serracchiani che vorrebbe “qualcosa di terribilmente nuovo”.  Probabilmente ad ottobre 2010 sarà quindi sostituito da un nuovo simbolo[2].

Marina Ripoli


[1]     Si abbandona la forma circolare (anche se rimarrà sulle schede elettorali) per una forma più insolita, almeno per il panorama italiano: un rettangolo.

[2] Per approfondimenti leggi l’articolo Questione di “logo”?

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Parole “pesanti”

Cosa si nasconde dietro le parole, se non la cultura di una comunità?
Il bagaglio simbolico di un gruppo di individui che condividono la varietà e la complessità di un sistema di segni vocali, un proprio linguaggio?

E in politica? In una comunità di militanti, la cultura di partito ha una storia e un significato, una sorta di costellazione di ideologie, miti, credenze, rituali, linguaggi. Cosa sono, dunque, gli appellativi “Compagni”, “Amici” o “Camerati” se non le parole che costituiscono questa costellazione, simboli che evocano emozioni e spingono gli uomini ad agire. Sono gli emblemi di un vocabolario specializzato, veicoli della comunicazione interna di alcune organizzazioni politiche. Parole che hanno costruito e mantenuto socialmente eredità storiche e valutazioni culturali. Parole che, al di fuori dei propri gruppi di appartenenza e dei partiti che le utilizzano, non rappresentano lo stesso universo di significato con il quale s’identifica il militante.

E nel Partito Democratico cosa significano gli appellativi Compagni e Amici? Anche qui sono qualcosa di più di termini, parole… “significano” qualcosa di più. Altrimenti non si spenderebbero quei due o tre minuti in più, ad inizio di ogni discorso, per salutare l’uditorio con entrambi i nominativi. Non nascerebbero polemiche se l’attore Gifuni (non tesserato), quasi in un impeto liberatorio, si rivolge ad una platea di Democratici con un ‘pericoloso’ «Compagne e Compagni!».

Il punto è che questi appellativi continuano ad essere motivo di distinzione e non di fusione all’interno della formazione democratica. Sono il sintomo della difficoltà che questa formazione politica ha nel lasciare il vecchio per il nuovo; o meglio la difficoltà del trasformarsi, proiettandosi verso il futuro, ma non abbandonando i retaggi del passato.

Le difficoltà, così, diventano resistenze al cambiamento…

E oppongono resistenza coloro che sentono la necessità di riaffermare le proprie radici a dispetto delle altre parti; ma anche coloro, che appartengono al presente e non vogliono sentirsi schiacciati dal passato.

Così, mentre i militanti di cultura rossa si entusiasmano alle parole di Gifuni, gli esponenti moderati del partito prendono le distanze dall’attore e i Giovani democratici manifestano la propria estraneità alla parola “compagno” e alla Festa dell’Unità.

Certamente tali polemiche appaiono sterili agli occhi degli elettori, ovvero l’ennesimo segnale di autoreferenzialità lanciato dal PD. Ma bisogna tener conto che un partito non è solo un organismo politico, un partito è anche una comunità di persone, un gruppo organizzato di donne e di uomini che lavorano sui territori animati da scopi, valori e principi comuni. In altri termini, come in un’impresa, parliamo di cultura organizzativa, di comunicazione interna, elementi che s’incarnano ed alimentano l’identità di un gruppo. E con l’identità non si scherza!

Marina Ripoli

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PD Lodi: La fiducia si conquista con progetti validi

Questa settimana Spinning Politics ha intervistato Mauro Soldati, Segretario Provinciale del Partito Democratico di Lodi, che ci ha descritto una realtà piccola e consolidata, fondata sulla fiducia nella capacità dell’elettorato di premiare i progetti più validi, e che per vincere, punta sulle capacità e sulla qualità dei candidati nel raggiungimento degli obiettivi: vivere con semplicità e pensare con grandezza nella “bassa”.

Partiamo dalle ultime elezioni amministrative, dove Lodi si è dimostrata una delle poche eccezioni vincenti del centrosinistra lombardo; a tal proposito, quali sono stati i vostri punti di forza, quelli che vi hanno condotto alla vittoria?

La buona amministrazione è la prima cosa che viene valutata dai cittadini, tanto più nelle elezioni comunali, dove gli interventi impattano direttamente con la popolazione, e noi venivamo da un mandato molto positivo, dove risultava evidente che la città era cambiata ed era cambiata in meglio. A ciò abbiamo unito una presenza molto forte tra la gente. Non solo incontri formali, ma anche appuntamenti più semplici, quasi improvvisati, dove con più facilità le persone potevano esprimersi e i candidati fornire le loro idee.

Dalla vostra ultima campagna elettorale si evince il ruolo fondamentale delle relazioni personali sul territorio, come alimentate questo rapporto e la gestione dell’ascolto?

Più che sulle relazioni personali, in questa tornata elettorale abbiamo costruito un rapporto sugli obiettivi da perseguire e sulle capacità e qualità dei nostri candidati, il che rende più semplice una vicinanza che poi si traduce in sostegno. Di sicuro i cittadini hanno maggior capacità di valutazione e comprensione di quanto anche la politica crede. Le elezioni di Lodi ne sono un esempio concreto, con 4 mila persone che nello stesso giorno hanno ad esempio cambiato il proprio orientamento, votando centrodestra alle regionali e centrosinistra alle comunali. Un numero così consistente non può essere risolto solo con le relazioni personali, ma implica una fiducia diversa, più legata alla validità del progetto.

Quale elemento pensavate potesse minacciare il risultato positivo ottenuto alle ultime elezioni amministrative?

Una semplificazione della scelta in campo, sull’onda di temi nazionali, veicolati dai media, piuttosto che sul lavoro fatto e le esigenze concrete del territorio.

Passando ora a parlare di comunicazione politica, quanto pensa che una strategia implementata da un professionista possa influire sugli esiti di voto?

L’improvvisazione non è mai una risposta. Le professionalità sono fondamentali, ma senza l’esperienza e la conoscenza del territorio sono inutili. Di sicuro noi abbiamo bisogno di supporti, ma è altresì fondamentale un impegno diretto di militanti e gruppo dirigente, che esprime anche professionalità in merito. Siamo un partito che ha bisogno di protagonismo e ruoli diretti dei propri militanti e del gruppo dirigente, al fine di sentire nostra la sfida.

Tra le varie pratiche del marketing elettorale, quale pensa possa produrre un valore aggiunto se applicato alla vostra realtà?

La nostra realtà è ancora abbastanza vergine da questo punto di vista. Strumenti in campo ce ne sono, ma non vi è ancora una chiara strategia in merito. Di sicuro la continuità, nei messaggi, nella presenza, nelle proposte, è un elemento che richiede anche adeguati strumenti per essere realizzata, rispetto alla quale stiamo definendo la strada da seguire, anche perché il nostro obiettivo è quello della costruzione di un rapporto con i nostri concittadini, che non può ridursi al solo appuntamento elettorale.

 Intervista a cura di Daniela Bavuso

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Tradizione e rinnovamento per l’UDC di Monza e Brianza

Un mix tra il legame con la tradizione dei militanti – che sul territorio sono gli unici ad avere il polso della situazione – e la necessità di formare un nuovo gruppo dirigente preparato alle sfide della comunicazione moderna. Questa è la realtà dell’UDC nella giovane provincia di Monza e Brianza secondo la descrizione del suo segretario politico, Vincenzo Tortorici, che Spinning Politics ha intervistato per voi dopo il recente convegno di Todi.

 

L’UDC di Monza e Brianza come può cavalcare l’onda per essere un partito in espansione all’interno di una realtà provinciale giovane ed aumentare visibilità e consenso?

Sia nella campagna elettorale nazionale che in quelle amministrative, sul territorio abbiamo aperto alla società civile, alle aggregazioni politiche di liste civiche, ad associazioni culturali, ad entità locali, a gruppi di giovani, tutti intenzionati ad agire per il bene comune nel vero senso della parola. La partecipazione di tutti questi gruppi per noi è stata significativa, e il Partito ha ricevuto un po’ di freschezza e novità utili.

 

La campagna elettorale dell’UDC a livello nazionale è stata giudicata da molti professionisti un ottimo esempio di comunicazione strategica. Come ritenete di potere applicare a livello locale la strategia nazionale?

Come ho detto poc’anzi la strategia nazionale è stata da noi applicata anche sul territorio, e ancora di più verrà applicata da ora in avanti, nella formazione del nuovo soggetto politico che si costruendo dopo il convegno di Todi della scorsa settimana, in cui sono state gettate le basi per aprire il nuovo che avanza a formazioni moderate, che vogliano con noi lavorare nell’ottica di creare un gruppo dirigente altrettanto nuovo che sappia affrontare le sfide che anche in politica si presentano all’orizzonte.

 

Parlando di consulenti politici, quanto pensa che la loro professionalità possa generare un valore aggiunto alle campagne elettorali a livello nazionale e locale?

Tutte le nuove competenze professionali possono essere valutate e prese in considerazione, ma la competenza dei consulenti non può certo superare il valore di tutti quei nostri militanti, che sul territorio hanno il polso della situazione, sono conosciuti e hanno il filo diretto con i cittadini, nostri elettori oppure no. Le nostre radici che arrivano da lontano, i nostri valori su cui si fonda il nostro modo di fare politica per la gente, non può fare a meno di che opera e lavora sul territorio da decenni.

 

L’UDC è un partito che cerca di interpretare le tendenze sociali. In termini di comunicazione qual è il vostro approccio alle nuove realtà sociali e quanto crede nell’utilizzo dei new media per interpretare l’opinione, mobilitare e spostare il consenso?

Il futuro di ogni settore, di ogni attività è certamente nei nuovi modi di fare informazione e di aggregare la gente. I new media non possono che essere un aiuto nella mobilitazione delle persone, nel cercare di fare comprendere le varie opinioni, e quindi è certamente un modo più che ottimo di creare consenso. Fino ad ora abbiamo avuto poche possibilità di utilizzare questi strumenti, ma anche da noi, si sta muovendo qualcosa e quindi presto potremo avere a disposizione qualche mezzo in più per fare sentire la nostra voce.

 

Quali sono gli obbiettivi nel breve- medio periodo in termini elettorali?

Le rispondo con le parole di Lorenzo Cesa segretario nazionale dell’UDC, che al convegno di Todi diceva tra l’altro “ il nostro è un Paese che con la fine della prima Repubblica, con la fine delle ideologie, ha pensato di fare a meno della politica. L’onda peraltro non ha riguardato solo l’Italia, ma un po’ tutto il mondo, con l’economia e la finanza che spesso hanno ridotto in un angolo la politica. Solo ora ci accorgiamo che un Paese che rifiuta la politica è un Paese senza guida, che se ne va alla deriva. Mai come oggi l’Italia ha bisogno di politica vera, di una guida che metta al centro l’interesse generale del Paese, che sappia ricondurre ad unità le infinite pulsioni e tensioni che provengono da una società civile complessa e variegata come la nostra. Questo ci chiedono i piccoli imprenditori, le famiglie, i cassintegrati, i giovani, il 36,5% di italiani che alle ultime elezioni regionali non è andato a votare.” Nell’ottica della costituzione del nuovo Partito il nostro impegno, sigillato anche nell’ultimo direttivo di Monza e Brianza, va nella direzione di dimostrare come l’UDC e la Costituente del nuovo soggetto politico, sono strumenti per fare precipitare la crisi del bipolarismo, per creare un Partito pronto a difendere l’unità nazionale in qualsiasi momento essa tornasse ad essere minacciata.

Intervista a cura di Daniela Bavuso

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Comunicazione permanente per il PD di Como

Campagna permanente, cross-media campaign e differenziazione dei mezzi e dei messaggi a seconda del target elettorale: sono questi gli ingredienti di una buona comunicazione politica secondo Luca Corvi, segretario provinciale del PD di Como, che questa settimana abbiamo intervistato per voi. Una realtà di non poco conto, complessa ed oltremodo dinamica quella di Como, all’interno della quale cresce l’esigenza di valorizzare il rapporto dialettico con l’elettorato.

 

Partendo dalle ultime elezioni regionali, come giudica il risultato ottenuto dal PD in provincia di Como?

Il risultato delle regionali in provincia di Como può essere considerato come positivo per due aspetti: il primo é l’inversione di tendenza che siamo riusciti ad attuare, passando dal 16 per cento in provincia al 19 recuperando quasi tre punti percentuali; e seconda cosa é stata l’elezione con più di dodicimila preferenze di Gaffuri che poi é diventato anche il capogruppo PD in Regione. Dobbiamo però ammettere che queste due piccole soddisfazioni non sono assolutamente sufficienti se vogliamo davvero puntare a diventare una forza di governo credibile e riconoscibile, c’è ancora moltissimo da lavorare e la comunicazione é uno dei primi campi in cui é necessario investire.

Parlando di comunicazione politica, quali sono stati gli elementi più significativi della vostra campagna elettorale?

Nella nostra campagna elettorale abbiamo, per motivi sopratutto di risorse, puntato sull’utilizzo dei mezzi classici. Questi si sono combinati con la presenza sul territorio di tutti i candidati che si sono presentati come squadra unita e coesa, come espressione di un unico partito e portatori degli stessi ideali democratici, sottolineando ognuno le sue caratteristiche e le sue peculiarità.

Qual è la posizione del Pd della provincia di Como in merito all’utilizzo dei new media in campagna elettorale?

I nuovi mezzi di comunicazione, peraltro già molto utilizzati dal PD provinciale, hanno certamente il pregio di raggiungere velocemente molte persone, di viaggiare e di comunicare in tempo reale, superando le intrinseche lentezze dei mezzi classici: la stampa, i manifesti, i volantini. Hanno però anche il difetto di riferirsi a target con caratteristiche ancora non molto diffuse: l’utilizzo del computer è in fatti oggi appannaggio soprattutto di giovani o di meno giovani che però utilizzano il computer per lavoro. Assai più difficile è raggiungere altri tipi di target non informatizzati. Questa segmentazione crea anche un problema di linguaggio che occorre diversificare e rendere comprensibile e appetibile per tutti i possibili fruitori.

Una efficace strategia di comunicazione permanente, non solo legata alla campagna elettorale. Deve considerare ogni mezzo a disposizione e analizzare il linguaggio adatto per ogni target, per ogni mezzo e per ogni messaggio.

È risaputo che il marketing politico è un’attività poco sviluppata in Italia, a differenza di quello che invece accade negli altri Paesi Europei e Occidentali in generale; in merito a questo, che ruolo hanno i coordinamenti politici a livello locale nello sviluppo di questa attività?

Il marketing politico incontra difficoltà ad affermarsi spesso per le ritrosie degli stessi personaggi politici. La questione della comunicazione politica risente di una tradizione da “1° repubblica” e i candidati faticano a considerare che le regole della comunicazione commerciale non siano così lontane da quelle efficaci per la comunicazione politica. I pubblicitari più radicali affermano che ciò che fa vendere uno yogurt funziona anche per far votare un candidato. Volendo essere più moderati crediamo che le basi siano le stesse e che vadano opportunamente calibrate per la comunicazione politica in cui si pubblicizza un pensiero, un contenuto, invece di un prodotto. In questo i coordinamenti politici locali devono svolgere un compito educativo importante. Essenziale è soprattutto che si possa considerare una campagna elettorale concentrata in un lasso di tempo relativamente circoscritto ma che non ci si dimentichi che la comunicazione politica deve continuare senza interruzioni durante tutto l’anno. Sarà necessario quindi calibrare i messaggi e i mezzi a partire da oggi per evitare un eccessivo e spesso incomprensibile sovraffollamento di messaggi degli ultimi giorni. Così come la vita di un partito e l’elaborazione politica non devono fermarsi, così il comunicare non deve conoscere soste e intervalli.

Un’ultima domanda…in vista della prossima tornata elettorale (elezioni cittadine e provinciali 2012 ndr.) quale elemento potrebbe costituire l’innovazione rispetto al passato in ambito di comunicazione politica?

 A livello di comunicazione politica la prima innovazione dovrebbe essere quella di un maggior investimento sui nuovi mezzi di comunicazione come internet e social network, inoltre come dicevamo, é importante guardare a questo aspetto delle future campagne elettorali come centrale e professionale e non come residuale. Inoltre dal punto di vista dei messaggi vogliamo puntare a far emergere le maggiori contraddizioni dell’avversario politico.

 

Intervista a cura di Daniela Bavuso

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I Protagonisti della fusione democratica

Come due nuclei atomici, isotopi dell’Idrogeno, che forzati a stare molto vicini, si fondono in un unico nucleo, così sembra essere accaduto ai Democratici di Sinistra e a La Margherita. L’esperienza dell’Ulivo e poi dell’Unione ha avvicinato questi due partiti di centro-sinistra fino al punto da intraprendere un progetto di fusione. Alcuni hanno definito tale operazione una fusione fredda, altri non la credono ancora possibile, eppure il 17 ottobre 2007 è stato eletto il primo segretario del Partito Democratico e sono trascorsi più di due anni e mezzo dalla sua fondazione.  Tra ostacoli organizzativi e culturali, fughe, sconfitte elettorali politiche e amministrative, portare a termine tale progetto si è rivelata un’operazione piuttosto difficile.

La fusione tra partiti, infatti, è una scelta strategica abbastanza rara e senza dubbio tra le più pericolose, specie in quei sistemi partitici che sono caratterizzati dalla tendenza alle scissioni e alla frammentazione.

Ma come il fenomeno della fusione nucleare si verifica proprio perché la forza nucleare di attrazione supera la forza di repulsione, dopo ben dodici anni di gestazione, l’obiettivo di razionalizzare il sistema partitico italiano e la necessità di sopravvivere alla congiuntura politica, hanno superato il timore di affrontare l’unificazione dei riformismi moderati di DS e Margherita.

Il centrosinistra è lo schieramento politico che il Partito Democratico si propone di rappresentare. Cultura politica e organizzativa, alla base dei fondamenti di quest’ultimo, nascono propriamente nel Dopoguerra, ma si collocano precisamente all’interno della tendenza di lungo periodo del sistema politico italiano sviluppandosi attraverso una progressiva aggregazione al centro di forze nuove. Democratici di Sinistra e La Margherita sono infatti gli eredi di due partiti storici italiani, rispettivamente il Partito comunista italiano e la Democrazia Cristiana. Entrambi hanno vissuto una transizione lunga e contrastata, trasformazioni e rimodulazioni, rinnovamenti e scissioni. L’arretratezza ideologica, organizzativa e culturale di questi partiti storici non resiste alle spinte della modernità. Con la caduta del Muro di Berlino il Pci abbandona le sue spoglie e si ridefinisce alla luce delle nuove sfide (vd. Democratici di Sinistra: la transizione Pci/PDS/DS). La Balena Bianca, invece, in declino già dal 1974[1], non capace di una efficace manovra autoriformatrice, dà vita a numerose gemmazioni e scissioni, i cosiddetti partiti “postdemocristiani” (Vd. La Margherita: la transizione demo-cristiana).

Ora vive un nuovo soggetto politico che però ancora stenta a trovare un’identità ben definita, ma che oramai possiede già una storia, che non è solo quella dei due partiti di origine. La storia si sà, produce identità!

Marina Ripoli


[1] Referendum sul divorzio, dove la Dc subisce una sconfitta bruciante.

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