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Come nasce il simbolo del PD

Il nome del Partito Democratico nasce il 14 ottobre 2007. In origine doveva chiamarsi “Partito Riformista”, ma fu Francesco Rutelli ad opporsi a tale scelta, imponendo il nome di Partito Democratico, in quanto più rispettoso delle singole anime che costituiscono il nuovo soggetto politico. Il nome si ispira chiaramente anche alla tradizione democratica americana.

Il logo del PD, invece, appare con ritardo rispetto alla costituzione del partito, esattamente il 21 novembre 2007 a seguito di un concorso voluto da Walter Veltroni e vinto dal giovane sconosciuto molisano Nicola Storto. Preceduto da una lunga riflessione sulla sua realizzazione, l’incipit del manifesto redatto dai dodici saggi, “Noi democratici amiamo l’Italia”, forse lasciava già prevedere che nel simbolo ci sarebbe stato un richiamo alla bandiera nazionale. Esso, infatti, è costituito da una grande ‘P’ verde, una ‘D’ bianca che si staglia su di uno sfondo rosso; sotto, perfettamente allineata alla parte superiore, la scritta Partito Democratico, di colore nero, impreziosita da un piccolo ramoscello di ulivo. Questa la descrizione del logo che rappresenta il Partito Democratico.

Squadrato[1], compatto, senza fronzoli, la sequenza cromatica verde bianco e rosso riporta all’identità nazionale che il partito vuole assumere. Inoltre, i tre colori utilizzati richiamano anche le tre culture presenti nel PD: il verde della cultura ambientalista e laica, il bianco del solidarismo dei cattolici moderati e il rosso della tradizione socialista e del mondo del lavoro. Lo stesso discorso vale per il ramoscello di ulivo inserito al centro del lettering, l’Ulivo rappresenta la storia del PD, la sua radice. È l’unico simbolo di continuità. La grafica è la stessa utilizzata nel simbolo del raggruppamento che ha rappresentato per oltre dieci anni le forze riformiste del centro sinistra, ma è fortemente ridimensionato posizionato appena al di sotto del logo.

Manca, quindi, il colore arancione. Il colore che aveva accompagnato la campagna elettorale di quasi tutti i candidati alla carica di segretario ad ottobre 2007. Difatti, fatta eccezione per Veltroni e Adinolfi, tutti gli altri candidati in corsa per la leadership avevano fortemente utilizzato il colore che pure era massicciamente presente nella grafica del sito ufficiale del Partito Democratico e in tutte le altre produzioni grafiche di DS e Margherita nella fase post-congressuale. Basterebbe ricordare i manifesti creati per la festa de l’Unità romana o i singolari inviti targati “Casa dei Democratici”. L’arancione era visto, infatti, come il colore del riformismo. Una scelta cromatica che sembra scaturire da una precisa evoluzione storica: il “rosso rivoluzionario” del comunismo si incontra con il “bianco moderato” dei popolari. Dunque, una fusione che cominciava già dalla cromia.

Se l’arancione scompare, anche il verde non sembra prevalere. Nonostante la scenografia dell’assemblea costituente di Milano avesse lasciato pensare diversamente, il verde de “La Nuova Stagione” di Veltroni si ridimensiona e si limita a completare la composizione iconografica del più classico tricolore italiano, anche se quest’ultimo non è mai stato il codice di riferimento del centro sinistra.

Ora sembra che questo logo abbia le ore contate. Non piace al segretario Pier Luigi Bersani…e nemmeno alla Serracchiani che vorrebbe “qualcosa di terribilmente nuovo”.  Probabilmente ad ottobre 2010 sarà quindi sostituito da un nuovo simbolo[2].

Marina Ripoli


[1]     Si abbandona la forma circolare (anche se rimarrà sulle schede elettorali) per una forma più insolita, almeno per il panorama italiano: un rettangolo.

[2] Per approfondimenti leggi l’articolo Questione di “logo”?

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Pd: comunicazione e costituzione

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Il Partito Democratico organizza e promuove in questi giorni il tesseramento dei suoi sostenitori. Lo fa sul sito internet con una sezione apposita iscrivitialpd.it, in cui il Segretario Pier Luigi Bersani invita i cittadini a costruire l’alternativa; e lo fa con una campagna di comunicazione caratterizzata da affissioni su tutto il territorio nazionale ce banner pubblicitari sul web.

 Alla base della campagna di tesseramento c’è un buon concept: si sceglie di puntare sulla difesa della Costituzione e dei diritti dei cittadini: lavoro, salute, cultura, ecc. L’obiettivo è creare una vera e propria identificazione tra i principi costituzionali e quelli sostenuti dal Pd. Ciò vuole essere trasmesso attraverso lo slogan efficace “Democratici per costituzione”, una copy strategy che riprende gli articoli costituzionali (“Il Partito Democratico è fondato sul Lavoro”) e dalla grafica bianco/rossa della “D” del logo di partito.

Come si evince dai manifesti qui riportati, non viene scelta una sintesi tra immagini e parole, bensì si sceglie una soluzione tipografica. Si ricorre, difatti, all’utilizzo del lettering del simbolo del Pd (la “D” di “Democratico”), la s’ingrandisce fino a ricoprire tutto lo spazio dell’affissione e si riempie il centro vuoto della lettera con il testo del messaggio. I colori del logo sono invertiti e il bianco della “D” viene ingrigito per creare maggior contrasto con il piccolo banner in basso a destra contenente logo del partito e finalità del manifesto, ovvero il tesseramento.

Nonostante l’idea sia valida e il concept efficace, nel complesso il manifesto risulta poco incisivo e di scarso impatto visivo. Mentre il messaggio sembra più adeguato e fruibile sul web, non si può dire la stessa cosa per le affissioni. Abbiamo ripetuto più volte quale sia la funzione dei manifesti e sappiamo che per essere letti  devono innanzitutto catturare l’attenzione; inoltre, devono essere leggibili – e comprensibili – nel minor tempo possibile. Qui il testo del messaggio ha un significato importante, ma non viene trasmesso al meglio: il bastonato bianco utilizzato è troppo sottile e si perde nel rosso dello sfondo. Il testo a volte è troppo lungo e poco ‘musicale’ (“Il Partito Democratico tutela la salute come fondamentale diritto”). L’elemento più interessante e più incisivo del messaggio – ma sul quale non si punta abbastanza – è invece quello che prima abbiamo chiamato slogan, ma che in realtà è la firma dell’articolo e il pay off del manifesto: “Democratici per costituzione”. È scritto con lo stesso font del testo, ma più piccolo… Peccato!

Perché non si è puntato su quest’ultimo elemento? Perché si è scelta una linea così asettica e poco orientata alla emotività? Ovviamente ciò che si vuole trasmettere ai potenziali tesserati è una visone del partito seria e razionale, incentrata sui principi e sui valori costituzionali al fine di incarnare un’alternativa al partito di governo. Si trasmettono quindi con chiarezza i cavalli di battaglia del Pd (Lavoro, Ricerca, Salute, Ambiente, Pari Opportunità, Patrimonio storico) e l’approccio ai problemi (difesa dei diritti e della Costituzione): da ciò si evince la volontà di comunicare un’identità ben precisa – e questo è un bene – ma proprio il modo di comunicarla la fa apparire ancora sbiadita.

Peccato… una buona idea, ma nessuno slancio energico, ciò che invece servirebbe al Pd!

Marina Ripoli

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Quando i candidati “ci mettono la faccia”

Cosa c’è di peggio per gli elettori se non quell’ondata smisurata di manifesti e di foto sfocate, sorrisi finti e pose statiche? Beh, ci sarebbero le “liste pasticcio”, ma ironie a parte, se ragioniamo in termini di comunicazione politica la rappresentazione del volto del candidato, e quindi l’importanza della fotografia nella costruzione dell’immagine del politico, è spesso trascurata.

Anche se nel post Obama sono emersi tentativi d’innovazione in questo campo (vd. ad esempio i mosaici di foto di Formigoni o di icone di Vendola), è sotto gli occhi di tutti la poca professionalità che spesso si nasconde dietro la scelta della foto che dovrà rappresentare il candidato per tutta la campagna elettorale. Gli errori che si evidenziano non sono solo da attribuire alla bassa qualità della fotografia, ma anche alla poca coerenza tra slogan e ritratto. In quest’ultimo caso, infatti, vi può essere sia una sfasatura, in termini di significato, tra il messaggio comunicato dallo slogan e quello trasmesso dalla foto, sia un effetto disarmonico nel layout complessivo del manifesto.

In un manifesto pubblicitario, difatti, esistono due categorie di segni: il testo e il visual. Generalmente, nello spazio dell’affissione, l’immagine riveste la funzione di vera coprotagonista dell’headline. E, a meno che non si punti su una comunicazione di tipo ironico, è importante che lo slogan entri in relazione di accordo, e non di contrasto, con la parte visual del messaggio.

In comunicazione politica è la “faccia” del candidato, il visual più accreditato. Nell’outdoor e nel media advertising diffondere l’immagine del volto del candidato è fondamentale per influenzare l’effetto mnemonico e aumentare l’indice di notorietà del politico. L’elettore vuole sapere chi c’è dietro un nome; sa che è difficile al giorno d’oggi avere un contatto diretto con i candidati, e quindi vuole almeno conoscerne il volto, scorgere nelle fattezze di un viso, di uno sguardo, di una postura, se si tratta di una persona di cui potersi fidare. La valutazione dell’elettore si basa, quindi, anche su un piano emotivo-simbolico e, oltre ai programmi e alle promesse, ciò che trasmette il volto del candidato contribuisce alla maturazione della scelta di voto.

Nella campagna UDC, ad esempio, è stato dato molto peso all’immagine dei candidati, anche in termini di qualità della fotografia, di coerenza della posa rispetto all’headline, di pulizia dell’immagine e attenzione ai dettagli. Saverio Scattarelli, il giovane fotografo pugliese che, tra Roma, Bari e Milano, ha scattato le foto dei candidati dell’Unione di Centro, ha dichiarato che le parole d’ordine sono state semplicità e spontaneità. Scattarelli, parla di scatti naturali, non ritoccati, nessuna posa finta, nessun ricorso al trucco. Tutti i candidati presidenti sono stati fotografati seguendo delle linee guida comuni. Tutte le foto ad esempio, hanno la stessa uniformità dell’illuminazione. Ciò fa sì che ci sia coerenza anche con la campagna nazionale.
Scattarelli sottolinea che è stato importante rendere partecipi i candidati nella scelta della foto. Essi, infatti, non solo hanno scelto l’abbigliamento da indossare (tra un cambio sportivo e uno elegante), ma hanno potuto anche scegliere la foto per la loro campagna. «L’obiettivo è stato quello di catturare le loro espressioni reali» e quale miglior giudice di loro stessi?
«Adriana Poli Bortone ha scelto la sua foto commentando che in questo ritratto riconosce il suo vero atteggiamento di sfida», importante in una competizione difficile come quella pugliese.

Interessante anche la fotografia di Gianni Troilo per la campagna PD curata da Proforma, sia per la buona qualità che per l’“effetto sgomento”! La foto migliore? Quella di Bersani! Sorriso accennato, sguardo laterale tipico della comunicazione seduttiva.
Si tratta del primissimo piano del mezzo busto comparso nella sua campagna di comunicazione per le primarie di ottobre 2009.

Da segnalare anche la scelta delle angolazioni, che se nel cinema sono funzione di un significato narrativo e concettuale, nella comunicazione politica sono l’espressione e il completamento del messaggio principale. 

Emblematica la foto dal basso verso l’alto che ritrae Vasco Errani candidato per la terza volta presidente della Regione Emilia Romagna. Come per le inquadrature di Orson Welles in Quarto Potere, questo tipo di angolazione è utilizzata per rappresentare potere e grandezza.
Diversamente dal “Citizen Kane romagnolo”, Stefano Porziotta, uno dei candidati sindaco di Andria si fa fotografare con la testa inclinata, lo sguardo sorridente, l’abbigliamento sportivo e dall’alto verso il basso. Tecnica, quest’ultima, per nulla consueta nelle strategie di comunicazione politica. L’obiettivo è ovviamente rappresentare un candidato scelto “dal basso” espressione delle esigenze dei cittadini.

Ma attenzione, c’è anche chi crede, in sintonia con una certa strategia di comunicazione politica, che una foto non sia sufficiente ad attrarre l’attenzione degli elettori, soprattutto se si tratta di target giovanissimi e difficili da avvicinare alla politica. E’ il caso della 21enne candidata tra le fila PD per le regionali in Campania, Rosaria Esposito. A comunicare il suo messaggio è il suo alter ego fumettato, una simpatica caricatura sorridente ed incisiva declinata in 8 diverse vignette in cui la candidata comunica, in modo pungente e sarcastico, la sua opinione sulle tematiche della campagna (donne in politica, nucleare, camorra, rinnovamento generazionale). Il visual spiritoso, in sintonia con l’headline “Solo per chi ha voglia di cambiare”, è la creative idea di questa campagna fresca, innovativa e particolarmente orientata al web.

Marina Ripoli

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