La Margherita: la transizione demo-cristiana

Democrazia è Libertà – La Margherita costituisce un fenomeno di fusione che si giocò soprattutto nell’incontro tra Popolari e Democratici[1], ossia tra Postdemocristiani e Ulivisti, tra cattolici e laici. La fusione, sebbene si configurasse come una fusione in senso stretto, nei fatti si trattò di un processo per incorporazione, data la prevalenza sia organizzativa che culturale del Ppi sui Democratici. Nonostante la supremazia popolare, la costituzione di Democrazia è Libertà rappresentò un passo avanti verso l’aggregazione di tutte le forze dell’area dell’Ulivo.

Ma andiamo con ordine.

Fino al terremoto del 1994, la grande balena bianca, la Democrazia Cristiana è stata il partito centrale del sistema politico italiano. Dalla dissoluzione della Dc sono poi nate alcune formazioni politiche – Partito popolare (Ppi), Centro cristiano democratico (Ccd), Cristiani democratici uniti (Cdu) – che nel 2002 hanno dato vita da un lato all’Unione dei democratici cristiani e di centro (Udc), dall’altro alla Margherita.

Democrazia è Libertà – La Margherita nasce in due fasi. Una prima tappa che l’ha vista come un cartello elettorale alle elezioni politiche del 2001 e una seconda che ha ratificato la sua fondazione il 24 marzo 2002.

La prima “bozza” di Democrazia è Libertà era stata promossa da quattro partiti: Ppi, i Democratici, Rinnovamento italiano e Udeur. Le motivazioni che portarono ad una tale inedita alleanza possono raccogliersi nel timore dei quattro partiti di non superare lo sbarramento del 4%. I dielle in quell’occasione elettorale risultarono vincitori tra gli sconfitti sorpassando in alcune circoscrizioni del Nord i Democratici di sinistra.

La Margherita, dunque, acquisì una “quota di mercato” a due cifre (14,5%): un ottimo presupposto per passare da cartello a partito e uscire dalla condizione di “cespugli” della Quercia.

Il partito si presentò al suo elettorato come una forza centrista, moderata, e riformista, collocata nella coalizione di centrosinistra. La Margherita prese come riferimento ideologico principale la tradizione popolare-cattolica, su cui si innestano i valori liberaldemocratici e socialdemocratici: l’obiettivo era quello di formare una sintesi tra dottrine che presentano diverse sfumature tra di loro. Per tale motivo al suo interno si rintracciavano varie “anime”, tra cui spiccano gli “ulivisti” (coloro che appoggiavano il progetto di un partito unico del centrosinistra, tra cui Romano Prodi), i popolari (favorevoli al PD, ma con alcuni distinguo, in cui spicca Enrico Letta), i “teodem” (l’ala cattolica più intransigente). La presidenza fu affidata a Francesco Rutelli. Il simbolo era una margherita che richiamava direttamente la denominazione del partito.

Era proprio la pluralità che caratterizzava La Margherita, la causa della difficoltà di unire il centro del centro sinistra, attraversato da rivalità, divisioni incertezze strategiche profonde[3]. «Il clima festoso e ottimistico dell’assemblea viene (infatti) incrinato dalla forte polemica di uno degli architetti del nuovo partito, Arturo Parisi, che abbandona le assise criticando l’eccessiva ingerenza dei popolari e lo scarso slancio ulivista. In effetti il Ppi è l’unico partito strutturato tra quelli che confluiscono nella Margherita e, inevitabilmente, vi trasferisce, forse con qualche ruvidezza, la sua forza organizzata. Del resto, tutte le stanze in cui si sono disegnati gli organigrammi dei partiti della filiera postdemocristiana sono rimaste impregnate dal fumo prima del sigaro e poi della pipa di Franco Marini».[4]

Dal 2002 al 2007 il passo è breve. La storia della Margherita a partire dall’estate del 2003 s’intreccia, come per i DS, con le peripezie della coalizione del centro-sinistra. Nel primo congresso federale (Rimini, 12-14 marzo 2004), però, prevale nettamente l’impostazione favorevole a un rafforzamento dell’identità e mentre gli Ulivisti raccolgono esigui consensi, l’idea del partito unico dei riformisti viene proiettata in un futuro più lontano.

Il congresso è anche l’occasione per alcune modifiche allo Statuto federale circa i poteri del Presidente. «Il frutto più  rilevante di quegli accordi (fu) l’introduzione dell’ufficio di presidenza, il “caminetto” pensato per rafforzare la gestione unitaria e collegiale del partito».[5]

In tale sede furono evidenziati, poi, gli squilibri territoriali e le distorsioni nei meccanismi della rappresentanza (vi erano iscrizioni in numero eccessivo rispetto ai voti ottenuti), inoltre, «la Margherita, zavorrata da antiche pratiche[6], non si era aperta all’esterno come aveva promesso di fare, verso i mondi dell’associazionismo, del volontariato, delle donne»[7]. Proprio i circoli, avrebbero dovuto realizzare tale obiettivo: strumento organizzativo innovativo, nelle intenzioni, doveva neutralizzare e riassorbire le inerti sezioni del Ppi, dando al partito organismi di base agli elettori non iscritti e flessibili nell’individuare forme d’azione efficaci. C’era un’«eccessiva distanza» tra circoli e partito.  La loro collocazione funzionale dentro i DL «è rimasta defilata rispetto al centro decisionale del partito, così come è rimasta incerta l’effettiva consistenza e capacità operativa dei circoli stessi, al di là dell’imponente numero dichiarato al congresso»[8].

Sempre nel 2004, il test unitario alle europee, provoca un brusco rallentamento del cammino ulivista della Margherita che nel 2005 si presenta alle regionali con liste proprie. Quando sembrava che i DL stessero transitando verso una collocazione sempre più “centrale”,[9]  il successo di Prodi alle primarie del 2005 sbaraglia ogni dubbio.

Il 20-22 aprile 2007 il II Congresso federale dei DL segna con l’abbraccio finale di Fassino e di Rutelli lo scioglimento della Margherita verso la costituzione del Partito Democratico. Rutelli quel giorno salutò il segretario diessino dicendo «siamo già lo stesso partito. Condividiamo, parole, progetti e obiettivi».[10] Come per i DS, però, si registrarono delle scissioni: in settembre Lamberto Dini e Willer Bordon rifiutarono di aderire al PD.

Marina Ripoli


[1] I Democratici era il partito fondato da Romano Prodi nel 1999, come strumento per favorire la nascita in Italia, nel contesto dell’Ulivo, di un unico soggetto politico riformista, sul modello  americano. Il simbolo del partito era l’asinello, lo stesso storico simbolo del Partito Democratico USA.

[3]Baccetti C. (2007), I postdemocristiani, Bologna, Il Mulino, p. 266.

[4] Ignazi  P. (2008), Partiti politici in Italia, cit., p. 47.

[5] Baccetti C. (2007), I postdemocristiani, cit., p. 306.

[6] Secondo Baccetti i post-democristiani hanno fatto proprio il “partito di correnti” che fu tipico della Dc, incentrato sulle reti di potere personale facenti capo ai notabili locali. Questa tradizione, però, è stata innovata attraverso il modello del “partito in franchising”: i leader nazionali si occupano di pubblicizzare e vendere ai potenziali elettori-acquirenti il “marchio” del partito sui mass media, mentre dirigenti, parlamentari e amministratori locali hanno una notevole autonomia nel gestire la “rete commerciale” sul territorio (sezioni, circoli, comitati provinciali e regionali ecc.).

[7] Baccetti C. (2007), I postdemocristiani, cit., p. 309.

[8] Ivi, p. 314.

[9] Avevano intenzione di presentare liste autonome anche alle politiche.

[10] Fusani C., «la Repubblica», 22 aprile 2007; Martini, «La Stampa», 23 aprile 2007.

1 Commento

Archiviato in newsletter, partiti politici, storia

Una risposta a “La Margherita: la transizione demo-cristiana

  1. Pingback: I Protagonisti della fusione democratica « Spinning News

Lascia un commento